Francesco Fassbinder

Racconti, poesie, critiche di Francesco Santoro

lunedì 31 marzo 2014

Convivenze - Racconto per un concorso con parole assegnate





Sono cinque anni che divido la mia casa situata nelle campagne tra Cisternino e Ceglie con Gianni, un ragazzo di ventisei anni all’ultimo anno della facoltà di Giurisprudenza. Lavorando io come operatore ecologico, gli ex spazzini, per il comune di Cisternino, a causa dei miei orari di lavoro e dei suoi di studio, non abbiamo mai tempo per parlare, ma in questi cinque anni di convivenza mi pare di aver capito bene il suo carattere e di conoscere le sue abitudini.
È stata la mia ex ragazza a presentarci. Sapeva della mia volontà di dividere la casa con qualcuno, un ragazzo preferibilmente, per far fronte alle ristrettezze economiche in cui mi trovavo nell’estate di cinque anni fa. Lei viveva ancora con i genitori ed essendo il nostro rapporto ancora prematuro per una convivenza e non avendo entrate sufficienti, decise di presentarmi Gianni, che aveva scelto in quel periodo di essere indipendente e di allontanarsi dalla casa dei suoi.

Dopo poche settimane l’entrata in casa di Gianni, Elena non si fece più sentire, mi lasciò senza parole e con un suo amico in casa. Di questa coincidenza, se così la si può chiamare, può sembrare strano, ma con Gianni non ne ho mai parlato.
Ho accettato subito la sua benevola presenza in casa, il suo ordine, la sua pulizia, la sua discrezione.
Dopo circa un mese il suo arrivo ho ricevuto la lettera di assunzione da parte del comune di Cisternino, ed ora eccomi qui ad aprire gli occhi sopra i mattini meridionali prima di ogni alba, e a spazzare fino a mezzogiorno le strade e i marciapiedi di quella splendida cittadina che fa da sentinella all’intera Valle d’Itria.
Oggi, però, è una giornata diversa dalle altre.
Non sono andato a lavoro e in accordo con Gianni, ci siamo svegliati alla stessa ora, vale a dire, le otto e trentacinque.
Siamo a metà marzo e, con l’arrivo anticipato della primavera, abbiamo deciso di rassettare la casa, composta da tre coni di antichi trulli di pietra e da una dépandance esterna in muratura. Gianni ha preso appuntamento con uno spazzacamini per le dieci – ha preso il numero da una piccola locandina incollata dietro un cartello stradale di pericolo incendi sulla Via dei Colli Cisternino-Ostuni -, ed io per il desiderio di vedere uno spazzacamini all’opera, e la canna fumaria del camino ripulito da cinque inverni di fuliggine, ho deciso di prendermi un giorno di semi-vacanza. Lavorando anche di domenica non potevo fare altrimenti, e vi confesso che alzarsi alle otto e trentacinque dopo troppo tempo è stata per me una sorpresa inaudita, è stato come se il tempo si fosse fermato e si fosse riorganizzato per ridarmi, dopo averlo dimenticato, il senso profondo della pace.
Lo stesso non è avvenuto per Gianni.
Dopo la doccia, ancora avvolto nel telo di spugna umido, l’ho incontrato in cucina che stringeva la moka.
“Hai la faccia stravolta, dove sei stato ieri sera?, non ti ho sentito rientrare”, Gianni posa la moka sul fornello e non senza difficoltà accende il gas, dopo essersi schiarito la gola, “Al cinema. Ho visto un film insignificante, A proposito di Davis, l’ultimo dei fratelli Coen”, “Loro sono bravi, ho visto Fargo, Il Grande Lebowski e Non è un paese per vecchi, bellissimi”, “Non ho dubbi, ma questo loro ultimo film, aldilà della perfezione delle inquadrature, dell’atmosfera newyorkese degli anni sessanta, e della bellezza dei dialoghi, non mi ha detto proprio niente”.
Dopo una lunga pausa mentre l’acqua cominciava a bollire all’interno della moka, gli dico, “E’ che le persone che vanno al cinema non hanno più voglia di sentirsi dire cose impegnative, di lasciarsi prendere da storie profonde o complicate, o magari di imparare qualcosa di nuovo, vanno al cinema come si va in un locale a bere una birra. I registi, almeno quelli bravi e con esperienza, lo sanno, e girano film semi-vuoti, senza messaggi per il futuro o per il presente, con immagini leggere di cui non ti rimane niente.
“Non è questo”, dice lui mentre la moka si riempie di caffè odorante, “E’ che ho fatto uno stranissimo sogno”. Spegne il gas, versa il caffè nelle tazzine, che sorseggiamo senza zucchero, abbiamo molte cose in comune io e Gianni oltre questa.
“Ero in aeromobile”, “Prego?”, “Un aeromobile”, “Un’aeroplano vuoi dire?, “Sì, un aeromobile”, “Perché non dici aeroplano?”, “Perché non era proprio in sé un aeroplano, ma era un aeromobile, è più preciso, più, come dire… sintetico”, “A me sembra più generico, comunque vai avanti”, sorseggiando il caffè, “Ero in un aeromobile diretto verso la Tunisia, non so o non ricordo da dove sia partito, all’interno dell’aeromobile faceva un caldo tremendo, insopportabile, sembrava di stare in una fornace elettrica, al mio fianco, io ero seduto dalla parte del finestrino, sotto di noi scorreva il mare trasparente di cui si vedevano dettagliatamente i fondali, al mio fianco era seduto un droide”, “Come?”, “Un droide”, “Un robot, vuoi dire”, “Sì, un droide”, “Scusa, perché non dici un robot?”, “Perché era un droide, è più preciso, ha una sua funzione inequivocabile”, “A me sembra come l’aeromobile, più generico, comunque vai avanti”, “C’era un droide-cacciatore in alluminio che mi spiegava la sua funzione in quel suo mandato. Mentre parlava con voce droidesca, scottava come una latta incandescente, avvertivo il suo calore sempre più insopportabile, sempre più vicino, ma non potevo alzarmi né cambiare il posto assegnatomi. Mi ha detto che era su quell’aeromobile e precisamente su quella rotta per cacciare ed eliminare i microrganismi presenti a livello cutaneo e sottocutaneo nei passeggeri per così annullare le possibili contaminazioni di batteri tra regioni lontane. Io intanto mi sono realmente spogliato nel letto a causa del caldo e ho impregnato le lenzuola di sudore restando nudo chissà per quanto tempo… Al droide-cacciatore di microrganismi non ho potuto dare alcuna risposta.”, “Ti ha posto delle domande?”, “No, ma volevo parlargli, volevo chiedergli di aiutarmi a cercare lavoro, anche se non propriamente nel mio campo, almeno un lavoro che facesse per me, che mi soddisfacesse insomma, a livello creativo ed economico”, “E lui ti ha risposto?”, “Ma no! Se ti ho appena detto che non riuscivo a pronunciare parola… forse a causa del caldo soffocante. Mi sono svegliato di soprassalto allo scroscio dell’acqua della doccia mentre i propulsori rallentavano emettendo fumo di tabacco”, “A proposito hai del tabacco?, l’ho finito”, “Mi dispiace, anch’io l’ho finito ieri sera. Mi dispiace più per me che per te, io non riesco a svegliarmi senza la prima sigaretta della giornata”. Segue una pausa di silenzio mentre sorbiamo le ultime gocce di caffè dalle tazzine. Ci guardiamo negli occhi, forse come non abbiamo mai fatto prima. Gianni è proprio bello, penso. È proprio un bel ragazzo, solamente è troppo timido, continuando così non troverà mai una ragazza alla sua altezza, forse il lavoro sì, ma la ragazza sarà difficile.
Spento il pensiero come una fiamma di fiammifero in un bicchiere d’acqua, vado a prepararmi un bicchiere di acqua e succo di limone, gli chiedo se ne vuole anche lui, mi risponde di no, poi aggiunge, “Immagina delle aeromobili a propulsione di tabacco… sarebbe magnifico, inquinerebbero molto meno, poi se ci aggiungi qualcosa al tabacco, farebbero voli stupefacenti…”, “Tanti limoni, li hai portati tu?”
Nel camino ripulito dalla cenere sono presenti tre casse strapiene di grossi limoni giallo limone, di cui si percepisce pungente l’odore.
“Sì, ieri mattina, non sapendo che fare, ho ripulito l’albero dietro casa, quello del vicino”, “Ti ha visto qualcuno?”, “Credo di no”, “Contaci.”
Ingollato a pieni sorsi il bicchiere da 250 ml di acqua e succo di limone mi avvicino al tavolo dove Gianni è seduto mentre fissa la copertina de La Repubblica delle Donne con Scarlett Johansson, gli chiedo, “E’ tanto che non vedi Elena?”, “Ieri sera, perché?”, “Niente.”
Esco, vado nella dépadance, prendo il rotolo di nylon sottilissimo da stendere sopra i mobili della cucina in attesa dello spazzacamini. Gianni vedendomi entrare, strappa le pagine de La Repubblica delle Donne e ne avvolge gli utensili, giunto alla copertina la appende sopra il camino con una punes, come per un ritratto.
“Stamattina mi sembra di avere nostalgia del futuro”, gli dico guardando il ritratto. “Anche a me capita a volte, ma non so bene cosa sia”, mi risponde.
Completata l’operazione di copritura, ci sediamo all’esterno sopra i gradini della porta d’entrata, sotto i raggi del sole insistenti, senza tabacco.
E’ passato mezzogiorno e dello spazzacamini nemmeno l’ombra.





1 commento:

  1. felice di scoprirti solo ora...dopo aver letto "piombo". aggiudicato tra i preferiti! ; ) bel blog

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