Sono
cinque anni che divido la mia casa situata nelle campagne tra Cisternino e
Ceglie con Gianni, un ragazzo di ventisei anni all’ultimo anno della facoltà di
Giurisprudenza. Lavorando io come operatore ecologico, gli ex spazzini, per il comune di Cisternino,
a causa dei miei orari di lavoro e dei suoi di studio, non abbiamo mai tempo
per parlare, ma in questi cinque anni di convivenza mi pare di aver capito bene
il suo carattere e di conoscere le sue abitudini.
È
stata la mia ex ragazza a presentarci. Sapeva della mia volontà di dividere la
casa con qualcuno, un ragazzo preferibilmente, per far fronte alle ristrettezze
economiche in cui mi trovavo nell’estate di cinque anni fa. Lei viveva ancora
con i genitori ed essendo il nostro rapporto ancora prematuro per una
convivenza e non avendo entrate sufficienti, decise di presentarmi Gianni, che
aveva scelto in quel periodo di essere indipendente e di allontanarsi dalla
casa dei suoi.
Dopo poche settimane l’entrata in casa di Gianni, Elena non si fece più sentire, mi lasciò senza parole e con un suo amico in casa. Di questa coincidenza, se così la si può chiamare, può sembrare strano, ma con Gianni non ne ho mai parlato.
Ho
accettato subito la sua benevola presenza in casa, il suo ordine, la sua
pulizia, la sua discrezione.
Dopo
circa un mese il suo arrivo ho ricevuto la lettera di assunzione da parte del
comune di Cisternino, ed ora eccomi qui ad aprire gli occhi sopra i mattini
meridionali prima di ogni alba, e a spazzare fino a mezzogiorno le strade e i
marciapiedi di quella splendida cittadina che fa da sentinella all’intera Valle
d’Itria.
Oggi,
però, è una giornata diversa dalle altre.
Non
sono andato a lavoro e in accordo con Gianni, ci siamo svegliati alla stessa
ora, vale a dire, le otto e trentacinque.
Siamo
a metà marzo e, con l’arrivo anticipato della primavera, abbiamo deciso di
rassettare la casa, composta da tre coni di antichi trulli di pietra e da una
dépandance esterna in muratura. Gianni ha preso appuntamento con uno
spazzacamini per le dieci – ha preso il numero da una piccola locandina
incollata dietro un cartello stradale di pericolo incendi sulla Via dei Colli
Cisternino-Ostuni -, ed io per il desiderio di vedere uno spazzacamini all’opera,
e la canna fumaria del camino ripulito da cinque inverni di fuliggine, ho
deciso di prendermi un giorno di semi-vacanza. Lavorando anche di domenica non
potevo fare altrimenti, e vi confesso che alzarsi alle otto e trentacinque dopo
troppo tempo è stata per me una sorpresa inaudita, è stato come se il tempo si
fosse fermato e si fosse riorganizzato per ridarmi, dopo averlo dimenticato, il
senso profondo della pace.
Lo
stesso non è avvenuto per Gianni.
Dopo
la doccia, ancora avvolto nel telo di spugna umido, l’ho incontrato in cucina
che stringeva la moka.
“Hai
la faccia stravolta, dove sei stato ieri sera?, non ti ho sentito rientrare”,
Gianni posa la moka sul fornello e non senza difficoltà accende il gas, dopo
essersi schiarito la gola, “Al cinema. Ho visto un film insignificante, A
proposito di Davis, l’ultimo dei fratelli Coen”, “Loro sono bravi, ho visto
Fargo, Il Grande Lebowski e Non è un paese per vecchi, bellissimi”, “Non ho
dubbi, ma questo loro ultimo film, aldilà della perfezione delle inquadrature,
dell’atmosfera newyorkese degli anni sessanta, e della bellezza dei dialoghi,
non mi ha detto proprio niente”.
Dopo
una lunga pausa mentre l’acqua cominciava a bollire all’interno della moka, gli
dico, “E’ che le persone che vanno al cinema non hanno più voglia di sentirsi
dire cose impegnative, di lasciarsi prendere da storie profonde o complicate, o
magari di imparare qualcosa di nuovo, vanno al cinema come si va in un locale a
bere una birra. I registi, almeno quelli bravi e con esperienza, lo sanno, e
girano film semi-vuoti, senza messaggi per il futuro o per il presente, con
immagini leggere di cui non ti rimane niente.
“Non
è questo”, dice lui mentre la moka si riempie di caffè odorante, “E’ che ho
fatto uno stranissimo sogno”. Spegne il gas, versa il caffè nelle tazzine, che
sorseggiamo senza zucchero, abbiamo molte cose in comune io e Gianni oltre
questa.
“Ero
in aeromobile”, “Prego?”, “Un
aeromobile”, “Un’aeroplano vuoi dire?, “Sì, un aeromobile”, “Perché non dici
aeroplano?”, “Perché non era proprio in sé un aeroplano, ma era un aeromobile,
è più preciso, più, come dire… sintetico”, “A me sembra più generico, comunque
vai avanti”, sorseggiando il caffè, “Ero in un aeromobile diretto verso la
Tunisia, non so o non ricordo da dove sia partito, all’interno dell’aeromobile
faceva un caldo tremendo, insopportabile, sembrava di stare in una fornace
elettrica, al mio fianco, io ero seduto dalla parte del finestrino, sotto di
noi scorreva il mare trasparente di cui si vedevano dettagliatamente i fondali,
al mio fianco era seduto un droide”,
“Come?”, “Un droide”, “Un robot, vuoi dire”, “Sì, un droide”, “Scusa, perché
non dici un robot?”, “Perché era un droide, è più preciso, ha una sua funzione
inequivocabile”, “A me sembra come l’aeromobile, più generico, comunque vai
avanti”, “C’era un droide-cacciatore
in alluminio che mi spiegava la sua funzione in quel suo mandato. Mentre
parlava con voce droidesca, scottava come una latta incandescente, avvertivo il
suo calore sempre più insopportabile, sempre più vicino, ma non potevo alzarmi
né cambiare il posto assegnatomi. Mi ha detto che era su quell’aeromobile e
precisamente su quella rotta per cacciare ed eliminare i microrganismi presenti
a livello cutaneo e sottocutaneo nei passeggeri per così annullare le possibili
contaminazioni di batteri tra regioni lontane. Io intanto mi sono realmente
spogliato nel letto a causa del caldo e ho impregnato le lenzuola di sudore restando
nudo chissà per quanto tempo… Al droide-cacciatore di microrganismi non ho
potuto dare alcuna risposta.”, “Ti ha posto delle domande?”, “No, ma volevo
parlargli, volevo chiedergli di aiutarmi a cercare lavoro, anche se non
propriamente nel mio campo, almeno un lavoro che facesse per me, che mi
soddisfacesse insomma, a livello creativo ed economico”, “E lui ti ha
risposto?”, “Ma no! Se ti ho appena detto che non riuscivo a pronunciare
parola… forse a causa del caldo soffocante. Mi sono svegliato di soprassalto
allo scroscio dell’acqua della doccia mentre i propulsori rallentavano
emettendo fumo di tabacco”, “A
proposito hai del tabacco?, l’ho finito”, “Mi dispiace, anch’io l’ho finito
ieri sera. Mi dispiace più per me che per te, io non riesco a svegliarmi senza
la prima sigaretta della giornata”. Segue una pausa di silenzio mentre sorbiamo
le ultime gocce di caffè dalle tazzine. Ci guardiamo negli occhi, forse come
non abbiamo mai fatto prima. Gianni è proprio bello, penso. È proprio un bel
ragazzo, solamente è troppo timido, continuando così non troverà mai una
ragazza alla sua altezza, forse il lavoro sì, ma la ragazza sarà difficile.
Spento
il pensiero come una fiamma di fiammifero in un bicchiere d’acqua, vado a
prepararmi un bicchiere di acqua e succo di limone, gli chiedo se ne vuole
anche lui, mi risponde di no, poi aggiunge, “Immagina delle aeromobili a
propulsione di tabacco… sarebbe magnifico, inquinerebbero molto meno, poi se ci
aggiungi qualcosa al tabacco, farebbero voli stupefacenti…”, “Tanti limoni, li
hai portati tu?”
Nel
camino ripulito dalla cenere sono presenti tre casse strapiene di grossi limoni
giallo limone, di cui si percepisce pungente l’odore.
“Sì,
ieri mattina, non sapendo che fare, ho ripulito l’albero dietro casa, quello
del vicino”, “Ti ha visto qualcuno?”, “Credo di no”, “Contaci.”
Ingollato
a pieni sorsi il bicchiere da 250 ml di acqua e succo di limone mi avvicino al
tavolo dove Gianni è seduto mentre fissa la copertina de La Repubblica delle
Donne con Scarlett Johansson, gli chiedo, “E’ tanto che non vedi Elena?”, “Ieri
sera, perché?”, “Niente.”
Esco,
vado nella dépadance, prendo il rotolo di nylon sottilissimo da stendere sopra
i mobili della cucina in attesa dello spazzacamini. Gianni vedendomi entrare,
strappa le pagine de La Repubblica delle Donne e ne
avvolge gli utensili, giunto alla copertina la appende sopra il camino con una
punes, come per un ritratto.
“Stamattina
mi sembra di avere nostalgia del futuro”, gli dico guardando il ritratto.
“Anche a me capita a volte, ma non so bene cosa sia”, mi risponde.
Completata
l’operazione di copritura, ci sediamo all’esterno sopra i gradini della porta
d’entrata, sotto i raggi del sole insistenti, senza tabacco.
E’
passato mezzogiorno e dello spazzacamini nemmeno l’ombra.
felice di scoprirti solo ora...dopo aver letto "piombo". aggiudicato tra i preferiti! ; ) bel blog
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