Francesco Fassbinder

Racconti, poesie, critiche di Francesco Santoro

giovedì 5 giugno 2014

Ninphomaniac vol. 1 – vol. 2

Le vie del sesso sono finite



Che l’ultimo film scritto e diretto da Lars von Trier sia un capolavoro è cosa opinabile. Ninphomaniac vol. 1 – vol. 2, film della durata di più di quattro ore nella sua versione ridotta e censurata per gli schermi e approvata dallo stesso regista, diviso in due parti, descrive attraverso un dialogo tra una donna di quarant’anni interpretata magistralmente da Charlotte Gainsbourg e un intellettuale interpretato da Stellan Skarsgard, la vita sessuale della protagonista ossessionata dal sesso. Più che come un’ossessione la sua condanna viene descritta, dai primi anni dell’infanzia fino alla maturità, come una dipendenza alla quale la donna non riesce a sottrarsi. Nella prima parte del film che descrive la sua adolescenza fino all’età di venticinque anni, lo sguardo dell’autore sulla protagonista e sulla sua storia è profondamente ironico, marcato a tratti da inserti grafici che ne aumentano il distacco e l’ironia. 



Il dialogo-confessione tra i due avviene all’interno di una stanza dall’arredo minimale, pochi gli oggetti presenti: un letto sul quale la dolorante protagonista è seduta o distesa, un’icona russa, un’esca da pesca, una rara edizione di un libro di Poe, un registratore a cassette, posate, l’alone di una pistola lasciato sulla carta da parati. Ogni oggetto dà il pretesto ad una serie di metafore grazie alle quali la storia si sviluppa e si divide in capitoli. Le metafore naturali risultano le più felici, quelle storiche e intellettuali meno, apparendo alla fin fine un po’ forzate. La scelta accurata e misurata della colonna sonora colpisce più delle immagini e della stessa storia: brani di Bach alternati a musica Hard Rock, la sarabanda di Haydn con le sue reminiscenze kubrickiane, un dialogo intimo e continuo tra musica alta e musica bassa, che fa da contrappunto eccellente alle immagini. La storia non è altro che l’illustrazione a volte prevedibile delle varie fantasie sessuali realizzate dalla ragazza e più tardi dalla donna durante la sua triste esistenza. La sua squallida prima volta, la gara in treno con un’amica per chi si scopa più uomini con come premio un sacchetto di cioccolatini, l’appartenenza ad un’ingenua setta adolescenziale del sesso, composta da sole ragazze, la scelta, dopo la delusione e il tradimento da parte di alcune componenti della setta, di perpetrare la sua vita sessuale con estrema indipendenza, continuando la sua conoscenza degli uomini e in parte di se stessa, rovinando famiglie, fino al sesso di gruppo con uomini di colore per soddisfare il desiderio di avere rapporti con uomini di cui non conosce il linguaggio, e al bondage. Il sesso viene inteso dalla protagonista sì come colpa soprattutto nella prima parte, ma anche come una forma di ribellione rispetto ad una società pregna di pregiudizi, paralizzata nei suoi schemi, intollerante, bigotta e timorosa. Di fronte ad un gruppo di dipendenti sessuali anonimi, e davanti allo specchio di se stessa, finisce per accettare la propria identità, dichiarando non senza rabbia di essere una ninfomane. La donna, dopo aver avuto un figlio, nato con parto cesareo, con il suo primo e unico amore, decide di farsi ingaggiare da un losco riscuotitore di crediti, lavoro per lei perfetto, essendo a maggior ragione antisociale, grazie al quale può mettere in pratica la sua conoscenza della psiche maschile, per scoprire i punti deboli di ogni cliente, compreso un pedofilo che redime con un una fellatio. Non usa certo mezze misure, le stesse che ha usato per se stessa, a volte estreme e crudeli. Ingaggia su consiglio del suo datore di lavoro una giovane ragazza, figlia di delinquenti, senza scrupoli più di lei, con la quale instaura un rapporto vagamente omosessuale, ma che alla prima occasione ha una relazione col suo primo amore… e il cerchio si chiuderebbe se non fosse che anche il suo interlocutore, l’intellettuale chiuso nella sua stanza monacale da sempre, per la prima volta nella sua vita non ci prova con una donna, e chi altra, se non la ninfomane che gli è accanto sdraiata senza mutande nel suo letto, che come logica reazione gli spara. La figura del padre della ragazza, nella prima parte del film, è l’unica che ha un respiro e una giustificazione credibile, il legame sanguigno padre-figlia, ma alcune scene come per esempio il primo piano che indugia sugli escrementi nel letto di agonia del padre sono veramente disgustose. I personaggi del film, i vari uomini che si susseguono in una carrellata di tipi sessuali paragonati in un frangente del film ad animali, non sortiscono conseguenze di rilievo nella semi-vuota psicologia della protagonista, simili a calabroni che svolazzano sui fiori sterili delle varie sue piccole voglie. La protagonista stessa si vede come un leone in gabbia. L’unico rifugio a volte è il bosco, gli alberi, il suo diario botanico, le sue reminiscenze d’infanzia. Nemmeno la ricerca del suo orgasmo perduto nell’età adulta porta grandi cambiamenti, se non la discesa verso l’inferno della violenza, anche se nel finale si può percepire una volontà di purificazione. Dato l’argomento, il film tocca nello spettatore più sensibile a tratti le corde del profondo, soprattutto nella seconda parte la storia e la psicologia della protagonista si dispiega in maniera lineare e chiara. Questo non aiuta a giustificare la facilità di scrittura delle molteplici coincidenze e metafore che il regista è attento a giustificare egli stesso con ironia attraverso la voce dell’intellettuale. Un film tutto sommato debole, per nulla erotico, freddo e distaccato come lo sguardo dell’autore, con spazi di comprensione per l’agire della protagonista. Il ritmo è lento e pedante come una marcia funebre che ritrova nello schermo nero sonorizzato del finale il suo inevitabile epilogo. Un film-saggio che la vede lunga sul rapporto tra conoscenza intellettuale e conoscenza fisica dell’esistenza attraverso la lente deformante del sesso. Dispiace non averlo visto nella sua versione senza tagli.

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