A
cazzotti con l’ultimo film di Abel Ferrara
Abel
Ferrara nel suo ultimo film si è addentrato in un’impresa non
semplice per un regista americano: filmare gli ultimi giorni di vita
di Pier Paolo Pasolini su un doppio binario: il punto di vista
esterno, empirico, dei fatti accaduti, e quello dell’ultimo periodo
della sua creatività artistica: il suo ultimo romanzo incompiuto
(Petrolio) e la sua ultima sceneggiatura cinematografica
(Porno-Teo-Kolossal).
Il
film comincia con un’intervista da parte di un giornalista francese
durante la proiezione nella sala di montaggio dell’ultimo film del
poeta (Salò o le 120 giornate di Sodoma) dove si discute del
rapporto artista-società e dove il poeta parla del proprio punto di
vista sul tema dello scandalo.
Qui
il film sembra cominciare bene, con la voce calda e allo stesso tempo
dura del poeta (doppiato da Fabrizio Gifuni), interpretato dal
credibile, per il momento, Willem Dafoe. La credibilità si associa
inevitabilmente alle parole inequivocabili e colme di passione
critica del poeta. Tutto è credibile perché testimoniato da testi
esistenti.
Si
passa subito ad un ritratto di famiglia all’interno della sua casa
romana con Adriana Asti (già presente in Accattone nel ’61) nel
ruolo della madre del poeta, Nico Naldini (cugino e scrittore)
interpretato da Valerio Mastrandrea e Graziella Chiarcossi (cugina e
studiosa dell’opera del poeta), più tardi si aggiungerà alla
piccola fedele famiglia Laura Betti (interpretata un po’ sopra le
righe da Maria de Mederiros) di ritorno dal set ungherese del film
Vizi Privati Pubbliche Virtù di Jancsò. Qui il clima è caldo e
privato, sembra di entrare educatamente nella vita intima del poeta,
come lui organizza una giornata, i suoi pensieri e i suoi incontri,
compreso quello con il giornalista Furio Colombo al quale concede
controvoglia l’ultima sua intervista.
Il
film rimane ancora credibile e piacevole quando una piccola parte di
un capitolo di Petrolio viene tradotta in immagini. È uno dei
capitoli più scabrosi e provocatori del romanzo dove s’intravede
una sofferta identificazione del personaggio con l’autore. La scena
filmica in realtà è solo un abbozzo, quella del romanzo si spinge
ben più in là. Si avverte nel film già un primo approccio
approssimativo all’opera del poeta.
Ad
un certo punto appare ad una cena privata in una trattoria romana,
poco prima dell’ora di chiusura, Ninetto Davoli (interpretato da
Riccardo Scamarcio), con la sua compagna e il loro bambino, al quale
il poeta confida l’ideazione della sua ultima sceneggiatura per un
film che avrà lui come attore principale insieme a Eduardo de
Filippo. Qui si nota il bellissimo rapporto d’amicizia e di fiducia
che lo stringe a Ninetto, la dolcezza nei confronti dei bambini, e la
confidenza con l’oste, vale a dire, con la gente umile e di uno
strato sociale non appartenente al suo.
In
breve le parole del poeta prendono forma in immagini: Ninetto Davoli
interpreta Epifanio, e Scamarcio il suo servo: come in Uccellacci
Uccellini i due personaggi (un re magio e il suo servo
all’inseguimento della stella cometa che indica il luogo dove
rinascerà il Salvatore), vagabondano per una città spettrale fuori
dal tempo. Nel film (del film) viene rappresentata un’orgia nella
città di Sodoma, l’odierna Roma. Qui il film cede notevolmente
sotto ogni punto di vista: quella che doveva essere una scena estrema
di sesso indiscriminato e promiscuo, viene rappresentata nel film di
Ferrara come un elegante baccanale di giovani postsessantottini belli
e borghesi. Alla potente provocazione pasoliniana si oppone una
visione postmoderna povera di significati e un po’ chic. Poco o
nulla resta della critica radicale sotto forma di scrittura e
immagini del poeta in confronto alle immagini ricercate e prive di
dissenso del regista americano. È come se quello che è rimasto di
Pasolini (ed è rimasto tanto in ogni forma espressiva) si fosse
disperatamente asciugato, seccato al sole del ventunesimo secolo ed
evaporato per sempre. Per fortuna questo non è ancora accaduto e
confido non accadrà ancora per molto tempo almeno per una parte del
nostro occidente.
Ben
presto il film giunge alla scena dell’approccio del ragazzo di
vita, del rapporto tra lui e il poeta, e dell’arrivo di altri
ragazzi, l’imboscata e la definitiva uccisione all’Idroscalo di
Ostia. Scene girate in maniera volgare e sommaria. Non si capisce
come il regista abbia fatto a rendere un fatto così importante per
la cultura italiana (e non solo) in maniera così approssimativa e
poco credibile. Solo ritenendo il film come un’operazione meramente
metafilmica e evidentemente commerciale si possono accettare certe
immagini. Il Pasolini di Ferrara è fuori dalla Storia, come i
personaggi principali di Porno-Teo-Kolossal, ma purtroppo (per il
regista), Pasolini è esistito realmente (non è una metafora), non
solo come importantissimo personaggio pubblico ed eminente uomo di
cultura, ma anche come grande artista, grande poeta e grande uomo.
Ecco di questa grandezza nel film di Ferrara traspare poco o quasi
nulla.
Resta probabilmente la notevole interpretazione di
Willem Dafoe, ma il suo personaggio resta un personaggio più filmico
che realmente vissuto, la bellezza formale di alcune immagini girate
all’Eur, una certa atmosfera delle notti romane dell’epoca (le
scorribande del poeta con la sua Alfa), la scelta da parte del
regista di alcune musiche tratte dai primi film del poeta (Bach su
tutte). Ma la bellezza che resta veramente, probabilmente l’unica,
è il volto disincantato e sofferente di Adriana Asti, al quale manca
però quella pietà tanto cara al poeta.
Ripesando
al film di Ferrara, fa quasi nostalgia pensare al film del ’95 di
Marco Tullio Giordana, Pasolini, un delitto italiano, sull’uccisione
del poeta e il conseguente processo agli accusati. Di sicuro più
rigoroso e certamente più credibile di questo Pasolini, sotto ogni
punto di vista. Là dove il poeta viene rappresentato come un
personaggio pubblico realmente esistente e non ridotto a un
personaggio filmico di finzione interpretativa.
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