Francesco Fassbinder

Racconti, poesie, critiche di Francesco Santoro

martedì 4 giugno 2013

Orologi


I miei orologi su diverse applicazioni hanno tutti un’ora diversa, non solo l’ora ma anche i minuti e perfino i secondi, chissà gl’attimi, ma non sono in possesso di orologi atomici. C’è quello dello stereo che va via ad ogni temporale e, dato che m’infastidisce il lampeggio del doppio zero, lo regolo sempre alle dieci a qualsiasi ora, tante ore quante sono le dita delle mie mani. Grazie al salvavita sono sempre in contatto con chissà quale fuso orario, ma in barba alla precisione i minuti, i secondi, gli attimi, divengono un optional superfluo.

Non ho orologi al polso dato che per me il tempo quasi non sembra esistere e non vale la pena misurarlo, mentre navigo nello spazio trasportato dalle onde delle sensazioni. Tutto è spazio. Senza lo spazio ciclico e vorticoso non riuscirei a scrivere. Il tempo si confonde soprattutto nel passato, i miei orologi ne sono la testimonianza. Una testimonianza tecnica.


L’orologio della mia automobile sembra essere il più preciso, ne ho almeno la sensazione, perché non sono quasi mai in ritardo agli appuntamenti o alle occasioni, o forse perché è sempre in viaggio. Un tempo che scorre in un’automobile in viaggio. Un tempo di viaggio costante e scorrevole.

Ho decine di orologi da polso, tutti fermi a svariate ore, qualcuno è senza lancette, sono quelli che adoro: quadranti tondi che hanno perso il senso del tempo perché semplicemente lo vivono, puri tondi quadranti di spazio. Spesso diurni, a volte notturni, sempre colorati con le cinghie consunte, consumati. Sì, perché in passato usavo gli orologi da polso. Me ne sono liberato dopo la lettura della lettera sul tempo e l’anarchia di Artaud. Non ricordo bene, ma forse è stata proprio la lettura di quella lettera che ha cambiato il mio rapporto con il tempo. Non solo il mio ma anche quello degli altri che mi circondano.

Essere il tempo per annientarlo in sé attraverso la vita vissuta nello spazio ciclico. Scopri che il tempo, soprattutto quello passato, si confonde, non sai cos’è avvenuto in un dato momento, cosa è avvenuto prima o dopo quel dato momento. Il punto in cui il prima e il dopo si confondono.

Ho avuto un rapporto prima strano, poi difficile con i numeri, ora cerco di esserne lontano. Lontano più nello spazio che nel tempo. Lo spazio ha vinto sul tempo, quanto l’eterno sull’interno. Della seconda parte del sillogismo non sono proprio sicuro.

C’è l’orologio del cellulare che cambia a seconda dell’inserimento della batteria quando casca per terra. È l’unico che da un po’ di difficoltà perché pensa di essere preciso, invece non lo è mai. In più è in rapporto con il tempo degli amici che chiamo e mi chiamano. In rapporto con il loro tempo.

Quello del computer è preciso a prescindere, autoregolato, mi sta antipatico, non lo noto quasi mai. Quando devo regolare quello del cellulare è a lui che mi riferisco, lo regolo con uno scarto più o meno ampio a seconda dell’umore. L’avanti e indietro si confondono, non me ne faccio pena. L’unica pena a volte è osservare la loro inutilità. La loro quasi inesistenza, la loro sicura inconsistenza. Meccanismi tecnologici di cui ne farei volentieri a meno, perché il tempo ce l’ho nella pancia.

Ho un orologio atomico nella pancia, conta gl’attimi, mentre il cervello, quando può, prende coscienza degli istanti. Il meccanismo è nella pancia, mentre la centrale per lo smistamento del tempo, è nel cervello. I due istituti sono collegati dal sistema nervoso, credo. È un processo in continuo movimenti come il battito del cuore, ma non ne ho sempre coscienza, spesso altro mi distrae. Anche il cuore credo sia collegato ai due sistemi attraverso il sangue, non ne sono sicuro, non avendo appreso la forma del meccanismo. Di sicuro so che tutto è collegato, quasi un’osmosi, come so che il mio tempo e quello degli altri sono collegati. Il tramite di questo ultimo collegamento potrebbero essere gli occhi, ma è un discorso troppo lungo da intraprendere e lo spazio della pagina sta per terminare.

Il mare ha il suo moto, io a volte lo bevo a piccoli sorsi, così facendo bevo anche un po’ del suo moto, così ciclicità si confonde a ciclicità. Quest’estate spero di fare il maggior numero di bagni possibile, anche perché nuotare è rompere con l’acqua l’acqua, è acqua resistente in un’acqua meno resistente. Un’acqua vista da occhi che si chiudono per non irritarsi.

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